martedì 15 giugno 2010

Nono

«Allora… Sei tesa?»

«Io… Vagamente, sì.»

«Non aver paura, vedrai che sarà questione di un attimo, nemmeno sentirai dolore.»

La bambina lo guardava coi suoi occhi biondi, interrogativi. Era già tutta piena di lacrime, pronta a rovesciargliele addosso ad un suo minimo cenno di via.

Indossava un abitino di trine bianco e rosa, una vera delizia. Appuntato tra i capelli, che le ricadevano in ampie ciocche sulle spalle esili, aveva un fiocchetto, bianco e rosa pure quello.

Lui la cingeva con un braccio, e quel braccio d’uomo arrivava a comprenderla tutta, la teneva chiusa in una parentesi dalla quale non permetteva uscissero i suoi pensieri.

La parlò ancora con il tono più rassicurante che potesse uscire da quelle labbra di padre buono:

«È quasi ora, andiamo, ti faccio strada.»

Sciogliendola dal suo nodo, si incamminò per il corridoio asfaltato di verde, lei gli teneva dietro, il faccino rosso della salute dei bambini si stava scolorendo pian piano in una mascherina pallida.

Aprì la portafinestra e le fece cenno, come a voler carezzare l’aria con la mano: le indicò il balcone e la bambina uscì all’aria fresca, resa leggermente umida dalle piante che aggredivano lo stabile del laboratorio da tutto il perimetro.

L’odore forte delle ginestre in fiore l’assalì con sgarbo.

Si sentì svenire.

«Io non so se…»

Il professore la interruppe e le posò deciso una mano sulla testolina. La bambina zittì.

«Avanti.»

Lei si mise di spalle, il vestito abbassato fino alla cintola le lasciava scoperta la schiena immacolata, la pelle liscia come un foglio di velluto.

Lui prese i suoi attrezzi e le protesi.



«Oh!», le uscì appena un grido sommesso, qualche goccia di sangue le sporcò il tessuto dell’abitino.

L’operazione fu ripetuta due volte e il professore fece attenzione a porle le due ali esattamente alla stessa altezza, alla giusta distanza affinché non rischiasse di sbilanciarsi una volta in volo.

«Hai visto, te lo avevo promesso che non ti avrei fatto male…», e nel suo sguardo c’era tutto l’amore che un padre avrebbe potuto concepire per la più bella delle proprie figlie.

«È vero. Non fa male.», e mentre lo diceva già cominciava a sgranchire quei due nuovi arti rattrappiti.

Riuscì a dispiegarle in poco tempo, e dopo nemmeno un paio d’ore, l’uomo l’aveva già issata sul muricciolo del balcone. Le scarpette di vernice nera si muovevano incerte su quel sottile limbo di cemento.

«Allora… Sei tesa?»

«Io… Vagamente, sì.»

«Non aver paura, vedrai che sarà questione di un attimo…»

L’uomo la spinse con grazia oltre il limite dell’equilibrio e l’accompagnò con un gesto infinitamente dolce sulla folata di vento che stava passando di lì in quell’attimo.

«Vola.»

La seguì un momento con lo sguardo, finché la bambina non svanì tutta nella luce del mezzogiorno.

«Dunque, addio.»

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