venerdì 18 giugno 2010

Quattordicesimo



"Pensateci, quando andate a votare!"

giovedì 17 giugno 2010

Tredicesimo

Insomma s'è giunti alla fine.
La scuola è finita. Il corso è finito. Domani c'è l'esame.
I'm ok, la bella agitazione che accompagnava i miei esami della triennale è ormai svanita da tempo, dimenticata nei vani più reconditi della memoria. Eppure un po' mi manca. Sì, insomma, quell'angoscia lieve che ti prendeva la mattina della colazione pre-esame, quella sorridente sensazione di vomito che avevi quando il prof chiamava il tuo nome, o l'odio che si provava nel sentire che, a pochi istanti dalla prova tutti -ma proprio tutti- sembravano saperne più di te.

Sarà che son cresciuta, sarà che ho imparato -se Dio vuole- a vedere le cose 'in prospettiva', sarà anche che ad oggi porto un po' più di sicurezza in me... ma è così bello affrontare le prove della vita senza ansia da prestazione, semplicemente accompagnati della convinzione che, comunque vada, si darà del proprio meglio e che quello sarà senza dubbio abbastanza per renderci soddisfatti del nostro risultato.

Non so, forse vaneggio, con queste righe da sedicente maestra di vita, fatto sta che tra qualche ora ci troveremo tutti in attesa fuori da una porta e, chi con la manina sudaticcia, chi meno, l'obiettivo sarà lo stesso: renderci fieri di noi stessi. Oh, che se poi è contento anche il prof e ci dà un buon voto... PURE MEGLIO!!

In bocca al lupo, Giornalaji!!

Dodicesimo

INTRANET, si disse durante l'ultima lezione...

* è l'applicazione digitale degli elementi che si utilizzano normalmente in un ufficio (per es. in Comune, in un'Azienda Ospedaliera, alla Decathlon..)
* ha un potenziale enorme: rappresenta la "cassetta degli attrezzi" ideale per chi opera all'interno di un contesto (pubblico, privato..)
* le attività legate ad Intranet sono in grande crescita di utilità, tuttavia poche realtà pubbliche per ora lo usano come dovrebbe, e potrebbe, essere utilizzato
* la sua vera capacità attrattiva è quella di dare informazioni e e riceverne in cambio
* internet è nato come "Intranet militare" (filosofia chiusa, riservata), poi nel tempo è emersa la necessità di farsi vedere come MONDO APERTO
* al suo interno vi sono informazioni riservate, bisogna aver DIRITTO di accedere ad esse
* è uno strumento freddo, non dà l'aria di essere CONTINUATIVAMENTE AGGIORNATO, molto spesso NON CI SONO REDAZIONI: per questo motivo è stato definito "Uno dei grandi buchi che la corsa dell'informatica ha"
In realtà il contributo che Intranet dà alle reti interne è ottimo in fatto di RISERVATEZZA, infatti non tutti i dipendenti di un'azienda hanno libero accesso all'Intranet, e questo li aiuta a capire meglio le dinamiche e la filosofia della loro azienda

Ma quali differenze ci sono tra questo illustre sconosciuto ai più (intranet) e il familiarissimo internet?
Internet è considerato ormai solo un sistema di immagine, poco visibile e pertanto poco studiabile. In realtà Internet e Intranet spesso nello stesso contesto sono identiche: questo succede per una forma di investimento (Intranet è in genere più essenziale, specifico e tecnico; Internet è invece user frinendly). Intranet sembra spesso un "mondo abbandonato", ma è rivolto al mercato globale, così come Internet: l'unica differenza è che Intranet è settorializzato in base all'ambito in cui è applicato.

Il più grande difetto di Intranet è la mancanza della diretta, della realtà del momento (le informazioni più attuali): ciò comporta una condizione di staticità.
Costruire una buona Intranet significa recuperare determinate informazioni che su Internet non ci sono; è fondamentale il motore di ricerca, che nell'Intranet assume un a forte specificità (più che in Internet).

Il potenziamento della comunicazione interna di un'azienda è molto importante perchè implica una minore necessità dei dipendenti di usare sul posto di lavoro social network ecc.. Spesso le aziende hanno delle vere e proprie redazioni che si occupano della comunicazione interna: per es. ENI ogni giorno manda in onda un tg aziendale seguito da 70.000 dipendenti (più spettatori di un normale tg locale).
Il codice di comunicazione unico adottato da queste aziende è importante per raggiungere tutti (soprattutto quando si tratta di un'azienda molto grande): esso assume una funzione di controllo.

In Italia questa info-philosophy (filosofia dell'informatica) non è ancora molto sviluppata: per es. quando un'azienda dà al proprio dipendente un cellulare da utilizzare per scopi lavorativi, in realtà essa stessa non ne fa il giusto uso. L'azienda non lo usa, infatti, per comunicare con il dipendente; in genere il telefono viene usato dal dipendente per chiamare, ma non per RICEVERE utilities o informazioni.

Perchè succede questo? Perchè in Italia nessuno ci ha mai pensato: persone che "comunichino" con l'azienda non sono richieste dal mercato. Invece in America nelle aziende ci sono addetti al controllo di MSN che comunicano con gli impiegati e ricevono un feed-back immediato: in questo modo è possibile sapere se l'impiegato c'è dall'altra parte del pc (con le mail invece non è possibile).

mercoledì 16 giugno 2010

Undicesimo

(Ovverosia: "Papà, voglio fa' il comunicatore!")

Comunicazione istituzionale
A caccia nei blog dei compagni di corso (Grazie Chiara D'Agostino per l'illuminazione) scopro che -purtroppo questa volta devo ammettere la mia lacuna al riguardo- la comunicazione istituzionale è quel tipo di comunicazione che ha per oggetto l'identità di una realtà, che identifica tutte le attività (non legate all'aspetto economico), che danno valore sociale a una realtà. Ad esempio una possibile applicazione di questo tipo di comunicazione è la pubblicità progresso. La comunicazione istituzionale deve sempre possedere due qualità, quella della trasparenza e quella della correttezza (ad esempio la comunicazione che avviene su web, non essendo mediata in alcun modo, possiede senza dubbio questi requisiti).

Invece altre forme come i comunicati stampa e la pubblicità progresso implicano che vi sia un mediatore (il medium) che offre un prodotto finale raffinato al pubblico. La comunicazione istituzionale va distinta da quella di prodotto e da quella politica -che ha lo scopo di creare consenso-.
Un comunicatore è colui che ha una committenza (pubblica o privata) verso la quale cercare di raggiungere un risultato. Così nel distinguere comunicazione istituzionale pubblica e privata potremo dire che: quella privata si avvicina alla comunicazione di prodotto ma cerca di mantenere alti i valori del "brand" (ovverosia del marchio), in questo caso lo scopo è quello di "vendere" qualcosa e questo tipo di comunicazione non deve prestare attenzione alle regole del web in termini di piattaforme, accessibilità e usabilità.

Invece la comunicazione istituzionale pubblica ha come obiettivo quello di mettere a disposizione di una collettività una serie di informazioni, servizi, mezzi. In questo caso il meccanismo è più complicato rispetto a quello della comunicazione privata, infatti qui esistono forme di controllo e comparazione dei settori in cui si lavora, ma non c'è un controllo aziendale così forte; allo stesso tempo vanno rispettate per correttezza le regole del web in termini di piattaforme, accessibilità e usabilità. Dalla comunicazione istituzionale pubblica non bisogna trarre un guadagno ma attraverso essa si deve offrire un servizio. Infine questo particolare comunicazione avrebbe l'obbligo di essere interattiva (anche se spesso non lo è) e dovrebbe essere trasparente.

Siti internet analizzati a lezione:

Camera dei Deputati
Governo spagnolo (ottima la mappa di navigazione del sito)
Eliseo (promossa l'interazione diretta con i cittadini)
Governo inglese (iniziativa di una sezione dedicata ai bambini, dove i poù piccoli possono conoscere meglio le istituzioni del proprio Paese)
Governo italiano (non c'è possibilità di feed-back, il sito è chiuso al visitatore)
Casa Bianca (il solo blog del sito è curato da ben 80 persone)

Decimo

martedì 15 giugno 2010

Nono

«Allora… Sei tesa?»

«Io… Vagamente, sì.»

«Non aver paura, vedrai che sarà questione di un attimo, nemmeno sentirai dolore.»

La bambina lo guardava coi suoi occhi biondi, interrogativi. Era già tutta piena di lacrime, pronta a rovesciargliele addosso ad un suo minimo cenno di via.

Indossava un abitino di trine bianco e rosa, una vera delizia. Appuntato tra i capelli, che le ricadevano in ampie ciocche sulle spalle esili, aveva un fiocchetto, bianco e rosa pure quello.

Lui la cingeva con un braccio, e quel braccio d’uomo arrivava a comprenderla tutta, la teneva chiusa in una parentesi dalla quale non permetteva uscissero i suoi pensieri.

La parlò ancora con il tono più rassicurante che potesse uscire da quelle labbra di padre buono:

«È quasi ora, andiamo, ti faccio strada.»

Sciogliendola dal suo nodo, si incamminò per il corridoio asfaltato di verde, lei gli teneva dietro, il faccino rosso della salute dei bambini si stava scolorendo pian piano in una mascherina pallida.

Aprì la portafinestra e le fece cenno, come a voler carezzare l’aria con la mano: le indicò il balcone e la bambina uscì all’aria fresca, resa leggermente umida dalle piante che aggredivano lo stabile del laboratorio da tutto il perimetro.

L’odore forte delle ginestre in fiore l’assalì con sgarbo.

Si sentì svenire.

«Io non so se…»

Il professore la interruppe e le posò deciso una mano sulla testolina. La bambina zittì.

«Avanti.»

Lei si mise di spalle, il vestito abbassato fino alla cintola le lasciava scoperta la schiena immacolata, la pelle liscia come un foglio di velluto.

Lui prese i suoi attrezzi e le protesi.



«Oh!», le uscì appena un grido sommesso, qualche goccia di sangue le sporcò il tessuto dell’abitino.

L’operazione fu ripetuta due volte e il professore fece attenzione a porle le due ali esattamente alla stessa altezza, alla giusta distanza affinché non rischiasse di sbilanciarsi una volta in volo.

«Hai visto, te lo avevo promesso che non ti avrei fatto male…», e nel suo sguardo c’era tutto l’amore che un padre avrebbe potuto concepire per la più bella delle proprie figlie.

«È vero. Non fa male.», e mentre lo diceva già cominciava a sgranchire quei due nuovi arti rattrappiti.

Riuscì a dispiegarle in poco tempo, e dopo nemmeno un paio d’ore, l’uomo l’aveva già issata sul muricciolo del balcone. Le scarpette di vernice nera si muovevano incerte su quel sottile limbo di cemento.

«Allora… Sei tesa?»

«Io… Vagamente, sì.»

«Non aver paura, vedrai che sarà questione di un attimo…»

L’uomo la spinse con grazia oltre il limite dell’equilibrio e l’accompagnò con un gesto infinitamente dolce sulla folata di vento che stava passando di lì in quell’attimo.

«Vola.»

La seguì un momento con lo sguardo, finché la bambina non svanì tutta nella luce del mezzogiorno.

«Dunque, addio.»

Ottavo

C'è chi si accontenta.
Chi vive per tutta la vita nel luogo in cui è nato.
Chi non ha curiosità per quel che potrebbe esserci altrove.
Chi è felice di vivere con quello che si è costruito intorno, senza accorgersi che la vita che si è fabbricato addosso, è così aderente alla sua persona che un giorno o l'altro potrebbe soffocarlo.

C'è chi è contento di percorrere sempre le stesse strade.
Chi accetta a capo chino ciò che non vuole, solo perché ha paura del suono della propria voce che si alza.
Chi cammina a testa alta senza guardare la gente in faccia veramente.
Chi accetta con rassegnazione quello che la vita gli scodella senza dire "a".

C'è chi non proverà mai niente di diverso, chi non è curioso ed è felice di avere l'indispensabile.
Chi non chiede mai di più, se quel "di più" non è nulla di strettamente necessario alla sopravvivenza.
Chi non legge perché è stanco di sentire la voce di un mondo che non sa esistere.
Chi ha creduto di aver trovato l'amore nella prima persona con la quale ha condiviso qualcosa. Ed ha creduto anche di innamorarsene.

C'è chi non cambia per paura di andare in perdita. O per pigrizia.
Poi c'è chi no.
E io, soprattutto, spero sempre di avere il coraggio di essere una di quest'ultime.

domenica 13 giugno 2010

Settimo

E alla fine... In questi ultimi giorni son riuscita a dare due esami. E sono pure andati bene.

E allora... Quasi quasi ci ripenso, e a tutte le crisi di pianto che ho avuto perché la scelta era "O il lavoro o l'università".

E forse... Si può tentare di fare tutto. Con calma, ma tutto.